Livorno nel Risorgimento. Circolo Didattico G. Carducci a.s. 2008/09
I PERSONAGGI A NOI PIU' SIMPATICI
Ricercando su Livorno ed il Risorgimento ci siamo imbattuti in molti personaggi di cui abbiamo sentito parlare passeggiando per le strade della nostra città.
Alcuni di noi non sapevano chi era la persona a cui era intitolata la strada o la piazza di residenza propria o dei parenti, e così ci siamo incuriositi a ricercare.
Abbiamo ricavato alcune immagini, ritratti, informazioni tramite internet e ci siamo ricordati che nomi come Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi e Goffredo Mameli (i più gettonati nella nostra classe!) venivano nominati spesso dalle nostre famiglie, o perché percorriamo strade e piazze a loro titolate, o perché ancora genitori e nonni si ricordano di averli studiati a scuola perchè hanno fatto l'Italia.
Anzi, di Garibaldi qualcuno di noi ne ha sentito parlare direttamente da amici che raccontano di aver avuto bisnonni che hanno conosciuto Clelia, la nipote, che dopo la guerra decise di lasciare buona parte della biblioteca di famiglia alla Biblioteca Labronica. E poi molti livornesi lo hanno seguito, visitando il quartiere, siamo passati dalla villa Francesca dove hanno abitato Beppe, Manlio ed appunto Clelia Garibaldi.
Mameli ci è rimasto simpatico perché ha scritto l'inno che ascoltiamo nelle manifestazioni sportive importanti e così rappresenta tutti gli italiani; molti di noi, facendo sport anche a livelli alti, lo hanno cantato commuovendosi, dandosi dopo una stretta di mano, magari seguita da una merenda tutti insieme mentre prima ci guardavamo a denti stretti.Così pure Mazzini, che molti livornesi hanno seguito nelle idee e di cui ancora oggi gli anziani parlano e rimpiangono, perchè i loro avi gliene hanno parlato come una persona "tutta d'un pezzo, di cui ci si poteva fidare".
Giuseppe Mazzini
Di idee repubblicane, fin da giovane si occupò dei problemi politici e sociali del Paese.
Respinti i metodi della Carboneria, di cui aveva fatto parte, fondò una nuova associazione, la "Giovine Italia", che aveva lo scopo di fare dell'Italia una repubblica popolare.
Trasferitosi a Marsiglia, per prima cosa inviò un messaggio al nuovo re di Sardegna Carlo Alberto, invitandolo a guidare la rivoluzione italiana. Al rifiuto di quest'ultimo, Mazzini fece seguire la propaganda rivoluzionaria della Giovine Italia.
Ritiratosi a Londra, svolse una assai intensa propaganda politica anche attraverso opere letterarie. Nel 1848 tornò in Patria dove animò la resistenza della Repubblica affidata a Garibaldi. Con la caduta della Repubblica fu costretto nuovamente all'esilio. Fondò a Londra il "Comitato Nazionale Italiano" ed il "Comitato Democratico Europeo". Rimpatriato, fu arrestato a Palermo, e qui apprese la notizia dell'entrata dell'esercito italiano a Roma.
Liberato grazie ad una amnistia continuò il suo peregrinare fino a quando non morì, a Pisa, nel 1872. Per saperne di più...
GIUSEPPE GARIBALDI
Il mito di Garibaldi
Il mito di Garibaldi sfida ancora oggi il tempo e lo spazio. A partire dal 1860 con l'impresa dei Mille, diventerà per generazioni l'eroe mitico per eccellenza. Il suo carisma si basava soprattutto sulla grande generosità, il coraggio senza limiti davanti al nemico e la lealtà. Il suo nome era capace di infondere speranze e forza, oltre ad unire migliaia di volontari disposti a seguirlo ovunque, fiduciosi di aver trovato una guida forte e imbattibile per rendere concreti i loro ideali. A questi uomini valorosi non prometteva né paga, né provvigioni, né fama, ma solo sacrifici, marce forzate, battaglie e morte. Molti pittori lo ritrassero alla testa di schiere di "Camicie Rosse", mentre incitava all'attacco le sue truppe prima della battaglia. E' immortalato in atteggiamento solenne in sella al suo fedele cavallo, in testa un cappello a larghe tese da cui spuntavano lunghi capelli mossi dal vento e un'espressione resa ancora più austera dalla folta barba. Garibaldi non fu solo un guerriero, ma piuttosto uno "strumento di giustizia" e un simbolo di pace per la futura Unità d'Italia.
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L'Inno di Garibaldi è un famoso inno patriottico del Risorgimento italiano.
Autore del testo fu, per richiesta dello stesso eroe dei due mondi, il poeta Luigi Mercantini, noto anche per La spigolatrice di Sapri, struggente rievocazione romantica della spedizione, repubblicana e mazziniana, di Carlo Pisacane.
Fu eseguito per la prima volta il 31 dicembre 1858, e risale dunque agli anni decisivi del processo che portò all'unità d'Italia, alla presenza di Garibaldi e Nino Bixio
Inno di Garibaldi
Si scopron le tombe, si levano i morti,
i martiri nostri son tutti risorti!
Le spade nel pugno, gli allori alle chiome,
la fiamma ed il nome d'Italia nel cor !
Veniamo! Veniamo! Su o giovani schiere:
Su al vento per tutto le nostre bandiere!
Su tutti col ferro, su tutti col foco,
su tutti col foco d'Italia nel cor !
Va fuori d'Italia, va fuori ch'è l'ora,
va fuori d'Italia, va fuori, o stranier !
La terra dei fiori, dei suoni e dei carmi
Ritorni, qual'era, la terra dell'armi !
Di cento catene ci avvinser la mano,
ma ancor di Legnano sa i ferri brandir !
Bastone tedesco d'Italia non doma,
non crescono al giogo le stirpi di Roma:
più Italia non vuole stranieri e tiranni;
già troppi son gli anni che dura il servir !
Va fuori d Italia, va fuori ch'è l'ora,
va fuori d Italia, va fuori, o stranier !
Le case d'Italia son fatte per noi,
è la sul Danubio la casa de' tuoi:
tu i campi ci guasti, tu il pane c'involi;
i nostri figliuoli per noi li vogliam.
Son l'Alpi e i due mari d'Italia i confini,
col carro di foco rompiam gli Appennini:
distrutto ogni segno di vecchia frontiera,
la nostra bandiera per tutto innalziam.
Va fuori d'Italia, va fuori ch'è l'ora,
va fuori d'Italia, va fuori, o stranier !
Sien mute le lingue, sien pronte le braccia:
soltanto al nemico volgiamo la faccia,
e tosto oltre i monti n'andrà lo straniero,
se tutta un pensiero l'Italia sarà.
Non basta il trionfo di barbare spoglie,
si chiudan ai ladri d'Italia le soglie:
le genti d'Italia son tutte una sola,
son tutte una sola le cento città.
Va fuori d'Italia, va fuori ch'è l'ora,
va fuori d'Italia, va fuori, o stranier !
Se ancora dell'Alpe tentasser gli spaldi,
il grido dell'armi darà Garibaldi:
e s'arma allo squillo che vien da Caprera
dei Mille la schiera che l'Etna assaltò.
E dietro la rossa vanguardia dei bravi
si muovon d'Italia le tende e le navi:
già ratto sull'orma del fido guerriero
l'ardente destriero Vittorio spronò.
Va fuori d'Italia, va fuori ch'è l'ora,
va fuori d'Italia, va fuori, o stranier !
Per sempre è caduto degli empi l'orgoglio;
a dir Viva l'Italia ! va il Re in Campidoglio;
la Senna e il Tamigi saluta ed onora
l'antica signora che torna a regnar.
Contenta del regno fra l'isole e i monti,
soltanto ai tiranni minaccia le fronti;
dovunque le genti percuota un tiranno,
suoi figli usciranno per terra e per mar.
Va fuori d'Italia, va fuori ch'è l'ora,
va fuori d'Italia, va fuori, o stranier !
GOFFREDO MAMELI
Goffredo Mameli nasce a Genova il 5 settembre 1827. Studente e poeta precocissimo, di sentimenti liberali e repubblicani, aderisce al mazzinianesimo nel 1847, l'anno in cui partecipa attivamente alle grandi manifestazioni genovesi per le riforme e compone Il Canto degli Italiani. D'ora in poi, la vita del poeta-soldato sarà dedicata interamente alla causa italiana: nel marzo del 1848, a capo di 300 volontari, raggiunge Milano insorta, per poi combattere gli Austriaci sul Mincio col grado di capitano dei bersaglieri. Dopo l'armistizio Salasco, torna a Genova, collabora con Garibaldi e, in novembre, raggiunge Roma dove, il 9 febbraio 1849, viene proclamata la Repubblica. Nonostante la febbre, è sempre in prima linea nella difesa della città assediata dai Francesi: il 3 giugno è ferito alla gamba sinistra, che dovrà essere amputata per la sopraggiunta cancrena. Muore d'infezione il 6 luglio, alle sette e mezza del mattino, a soli ventidue anni.
Le sue spoglie riposano nel Mausoleo Ossario del Gianicolo.
Fratelli d'Italia Dobbiamo alla città di Genova Il Canto degli Italiani, meglio conosciuto come Inno di Mameli. Scritto nell'autunno del 1847 dall'allora ventenne studente e patriota Goffredo Mameli, musicato poco dopo a Torino da un altro genovese, Michele Novaro, il Canto degli Italiani nacque in quel clima di fervore patriottico che già preludeva alla guerra contro l'Austria. L'immediatezza dei versi e l'impeto della melodia ne fecero il più amato canto dell'unificazione, non solo durante la stagione risorgimentale, ma anche nei decenni successivi. Non a caso Giuseppe Verdi, nel suo Inno delle Nazioni del 1862, affidò proprio al Canto degli Italiani - e non alla Marcia Reale - il compito di simboleggiare la nostra Patria, ponendolo accanto a God Save the Queen e alla Marsigliese. Fu quasi naturale, dunque, che il 12 ottobre 1946 l'Inno di Mameli divenisse l'inno nazionale della Repubblica Italiana. Ascolta Il canto degli Italiani